...L'Esperto di Diagnostica e di Scienze e Tecnologia applicate ai Beni Culturali (afferente in ambito internazionale alla figura del conservation scientist) svolge attività di ricerca, analisi e interpretazione dei dati relativi alla materia costitutiva dei beni culturali, ai processi di degrado della stessa, all'interazione dell'ambiente (sia di rinvenimento che di conservazione) con il bene culturale, alle tecniche di costruzione e allo stato di conservazione; Collabora, con le altre figure partecipi dell'intervento conservativo, alla definizione dei materiali più idonei per l’esecuzione degli interventi di restauro e alla fase di manutenzione; monitora l'efficacia dell'intervento di restauro e lo stato di conservazione nel tempo. (…)”
(elenco nazionale istituito a norma dell'articolo 2 della legge 22 luglio 2014, n. 110, nell’ambito della coerenza con il Quadro europeo delle qualifiche)

L’esperto diagnosta si occupa della parte tecnico-scientifica che riguarda la ricerca e i materiali in diversi ambiti, dal restauro alle autenticazioni e alle datazioni. È una figura diventata ormai necessaria oggi come oggi, che esprime e misura lo stato di degrado delle opere d’arte e non solo.
"È una professione di elevato contenuto intellettuale e di notevole complessità, che si svolge sia presso enti pubblici e privati sia come lavoro autonomo. Essa richiede una formazione culturale, scientifica, metodologica tecnica e etica specifica, ottenuta mediante percorsi di istruzione, formazione e aggiornamento a carattere teorico e pratico. Ha competenze multidisciplinari derivanti da conoscenze nelle discipline delle scienze matematiche, fisiche e naturali, nonché dell'informatica, applicate alla conservazione ed al restauro del patrimonio culturale, combinate ad ulteriori conoscenze di base di tipo storico, archeologico, artistico ed architettonico, che lo rendono capace di partecipare alla fase di progettazione dell'intervento conservativo e di redigere ed implementare il progetto del piano di indagine diagnostica e di monitoraggio prima, durante e dopo l'intervento di restauro, definendo le metodologie diagnostiche più idonee, il numero e la dislocazione delle prove da eseguire nel rispetto dei principi di non distruttibilità e non invasività delle analisi.
I compiti fondamentali dell'Esperto di Diagnostica e di Scienze e Tecnologia applicate ai Beni Culturali sono:

  1. Analizzare e documentare la materia costitutiva e il degrado dei beni culturali
  2. Progettare o collaborare alla progettazione degli interventi conservativi o conoscitivi sui beni culturali. Dirigere laboratori e curare iniziative sulla diffusione delle tecnologie collegate ai Beni Culturali.
  3. Svolgere attività di studio, ricerca formazione ed educazione nel campo della diagnostica dei Beni Culturali e delle discipline affini e collegate. (…)"

(elenco nazionale istituito a norma dell'articolo 2 della legge 22 luglio 2014, n. 110, nell’ambito della coerenza con il Quadro europeo delle qualifiche)

Uno scienziato a tutto tondo quindi, che ha conoscenze in tutte le discipline scientifiche applicate all’ambito artistico, e le mette insieme per rispondere all’esigenza del sapere.
Ma, seppur normata nel 2014, questa non è una professione nuova. Lo scienziato dedicato all’arte è una figura già coinvolta dalla prima metà del secolo scorso, un periodo di enormi e radicali cambiamenti in cui anche il restauro ha radicato il proprio modus operandi.

 

"Donne Bretoni" Spettro Raman. Fonte: Wikimedia Commons

 

La storia
Per comprendere quindi l’evoluzione di questa figura professionale bisogna ripercorre un po’ di storia.
I due secoli prima del ‘900 sono stati alimentati da dibattiti continui per definire la deontologia del restauro. Ma il “Secolo Breve” (Cesare Grazioli 1997) non solo è stato protagonista della storia moderna e delle Avanguardie artistiche, ma ha delineato anche l’attuale professione del restauratore sotto diversi aspetti. Infatti, l’assiduo inserimento della scienza nella vita di tutti i giorni, ha fatto nascere il bisogno di pensare al restauro in maniera più integrata e multidisciplinare.
L’approccio scientifico è stato introdotto ufficialmente dall’Architetto Gustavo Giovannoni (1874-1947) che ha avviato un vero e proprio concetto di Restauro scientifico, dove riteneva necessaria la compartecipazione al progetto di restauro, sotto la direzione ed il coordinamento dell’architetto, di alcuni specialisti (chimici, geologi, ecc…) in grado di apportare utili contributi alla conoscenza del manufatto e delle tecniche di intervento. È il 1934 quando egli stabilisce che “finalmente i tempi e lo stato delle nostre conoscenze e l’interessamento del pubblico sono maturi per istituire su basi scientifiche gli studi italiani si storia architettonica e per definirne le mete e i metodi”.
In quegli anni, per quanto siano stati resi bui dalla storia che si stava vivendo, ci sono stati forti cambi di prospettiva. Infatti è con Cesare Brandi che si da inizio al restauro scientifico.
Nel 1941 fu inaugurato l’Istituto Centrale del Restauro e il primo direttore fu proprio Cesare Brandi su indicazione di Giulio Carlo Argan. Secondo Argan, infatti, “I restauratori allora erano artisti o artigiani, spesso abili ed esperti, ma sempre empirici (…). Fu proprio per questo che con il Brandi, con cui eravamo fraternamente amici dal giugno del 1932 quando ci incontrammo per la prima volta a Siena, decidemmo di promuovere la trasposizione del restauro dal piano artistico-artigianale al piano scientifico. (…) Abbiamo pensato che sarebbe stato opportuno (…) creare un istituto pilota, che avrebbe dovuto servire anche a formare restauratori disposti ad accettare la collaborazione scientifica o addirittura a impostare il restauro su un piano metodologico prettamente scientifico. (…)”. Nel 1963 inoltre la pubblicazione de La teoria del Restauro e della Carta del restauro architettonico di Venezia del 1964 ha segnato il passaggio al concetto di conservazione in luogo del restauro. Giovanni Urbani successe a Brandi alla direzione dell’ICR dal 1973 al 1983 e aveva metabolizzato la rivoluzione delle due culture in collaborazione con Marcello Paribeni, direttore del Centro per lo studio delle cause di deperimento e dei metodi di conservazione delle opere d’arte del Consiglio Nazionale delle Ricerche dal 1971 al 1982. Urbani e il restauratore Paolo Marconi in particolare erano favorevoli a una “metodologia d’indagine che riferisca dello stato attuale della cosa da conservare come di un’entità misurabile, a partire dalla quale siano oggettivamente deducibili le tecniche appropriate per rallentarne al massimo la continua evoluzione” (Urbani 1986).

Comincia quindi a delinearsi non solo l’importanza dell’approccio scientifico, ma anche la necessità di misurare il degrado e i materiali. Nasce quindi il concetto di archeometria, ovvero la “misura di ciò che è antico”.
Già in Inghilterra nacquero i laboratori di archeometria dediti alla ricerca e alle datazioni, in particolare a Oxford negli anni ’50. Addirittura nel 1958 nasce la prima rivista del settore “Archeometry” e il Simposio internazionale di archeometria biennale, tenuto ogni volta in una nazione diversa. Nello stesso periodo negli Stati Uniti ci furono sviluppi analoghi e in particolare il primo nucleo di ricerca del Brookhaven National Laboratory che sviluppò tecniche quali l’analisi per attivazione neutronica. In Francia e in Inghilterra, invece, l’approccio archeometrico si originò grazie alla forte tradizione della scienza paleontologica. Nacque anche la prestigiosa rivista “Science in conservation” e iniziarono nel 1947 i convegni triennali dell’ICOM (International Council of Museum), di conseguenza anche per le organizzazioni museali si accese l’interesse per la scienza e le tecniche chiamate oggi diagnostiche.
Nel panorama italiano, la ricerca in archeometria nasce ufficialmente nel 1955 con il primo laboratorio italiano per la datazione con radiocarbonio presso l’Università di Roma.
Un episodio significativo ha segnato le sinergie in campo dei beni culturali: l’alluvione di Firenze del 1966. I danni al patrimonio storico-artistico sono stati innumerevoli ed ingenti, e questo ha fatto sì che venissero in soccorso vari esperti del settore che diedero vita ad un lavoro d’equipe fondamentale per la ricostruzione e la conservazione dei beni danneggiati.
Anni di grande fermento innovativo, durante gli anni ’70 cominciarono ad essere applicate le tecniche mediche di imaging e sempre più sviluppate tecnologie informatiche alle opere d’arte per andare ad indagare le stratigrafie, le composizioni, la ricerca di eventuali restauri passati e lo stato di degrado.

 

Madonna con il Bambino con le Sante Caterina di Alexndria e Barbara. Hans Memling 1480, olio su tela 67x72.1 cm. Metropolitan Museum of Art. Fonte Wikimedia Commons.
Madonna con il Bambino con le Sante Caterina di Alexndria e Barbara. Hans Memling 1480, olio su tela 67x72.1 cm. Metropolitan Museum of Art. Fonte Wikimedia Commons.

 

L'evoluzione
Da lì in poi nacquero quindi anche altri concetti che dovevano essere regolarizzati, ad esempio quello di non-distruttività e di non- invasività e quindi a cercare sempre più tecniche e tecnologie in grado di non distruggere parti dell’opera. Nel 1983 le prove non distruttive, i metodi microanalitici e le indagini ambientali nell’arte dettero il via a studi e a conferenze internazionali – promosse dall’ICR, dal Centro di studio delle cause di deperimento e dei metodi di conservazione delle opere d’arte, e dall’Associazione italiana prove non distruttive – che contribuirono alla diffusione di metodi non distruttivi per lo studio sia della macrostruttura dei manufatti (per esempio la radiografia, la termografia) sia della microstruttura (per esempio il microscopio elettronico a scansione). In parallelo, anche le Scienze ambientali fecero un balzo in avanti nella ricerca paleontologica e geoarcheologica con lo sviluppo di tecniche di prospezione geofisica come il georadar.
I progressi fatti poi durante questi ultimi quarant’anni sono stati molti, sia dal punto tecnologico sia da quello conoscitivo. La volontà di continuare a studiare, di fare ricerca e di scoprire nuovi metodi sempre più veloci, portatili e meno invasivi, è fortissima.
La figura dell’esperto diagnosta per i beni culturali quindi ha profonde radici ed è in continua crescita. Soprattutto è in continua crescita l’importanza della diagnostica di per sé, non solo accompagnata al restauro, ma anche a fini della ricerca dell’autenticità e della datazione.
Associare la figura al restauratore, o addirittura sovrapporla, però è ancora un errore che accade sovente e di conseguenza la strada per essere riconosciuti come figura indipendente è ancora lunga.

Sonia Spiniello
Art Care Expert

 

Bibliografia

UniGe Architettura - Storia del Restauro

Anna Lucia Maramotti, Gustavo Giovannoni

Enciclopedia Treccani: Archeometria e Restauro

https://www.archeomatica.it/restauro-e-conservazione/definite-le-competenze-e-le-conoscenze-della-figura-professionale-dell-esperto-di-diagnostica-e-di-scienze-e-tecnologia-applicate-ai-beni-culturali